L'avvocato Raffaello Agea ha sollevato in tribunale una questione di legittimità per un rinvio a giudizio senza notifica
Singolare situazione a Perugia, con un rinvio a giudizio per il reato di maltrattamenti in famiglia aggravato commesso ai danni della ex convivente, ma senza aver mai ricevuto la notifica del decreto che dispone il giudizio. L’avvocato umbertidese Raffaello Agea ha così sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’eliminazione dell’obbligo di notifica all’imputato introdotta dalla riforma Cartabia. Il difensore dell’imputato ha sollevato la situazione davanti al Tribunale di Perugia, in composizione collegiale (presidente Narducci, giudici a latere Avella e Avenoso) dopo che il suo cliente è stato rinviato a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare, ma non ha ricevuto la notifica del decreto che dispone il giudizio, che segna l’inizio del processo davanti al giudice del dibattimento. Si tratta appunto della norma che, a seguito della riforma Cartabia, ha soppresso l’obbligo di notifica all’imputato del decreto che dispone il giudizio pronunciato a seguito della celebrazione dell’udienza preliminare. L’uomo è stato rinviato a giudizio dal Giudice per l’Udienza Preliminare, ma come detto e come tutti coloro che si trovano nella stessa situazione, non ha ricevuto la notifica del decreto che dispone il giudizio, che segna l’inizio del processo davanti al giudice del dibattimento. Agea ha sottoposto la questione al Tribunale argomentandola anche con memoria scritta, evidenziando innanzi tutto come la legge delega a seguito della quale la previsione è stata abrogata (si tratta dell’art. 429, comma 4, c.p.p.) non prevedesse espressamente la possibilità di eliminarla. Infatti l’art. 1, comma 7, della legge delega in questione, come ha argomentato il legale dell’imputato, non contiene l’indicazione specifica della possibilità di abrogare l’art. 429, comma 4, c.p.p. Si tratta di quello che in gergo viene definito “eccesso di delega”, vale a dire di violazione dell’art. 76 della Costituzione, che prevede che il governo, allorquando legifera su delega del parlamento, debba attenersi ai criteri enucleati da quest’ultimo, contenuti appunto nella legge delega. Inoltre Agea ha sottolineato l’irragionevolezza della previsione e il suo contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Ciò perché nelle previsioni della legge delega era contenuta espressamente l’indicazione nel senso di un aumento delle garanzie per l’imputato, non certo una loro retrocessione, tanto più che avendosi riguardo al decreto che dispone il giudizio, lo stesso rappresenta primaria fonte di conoscenza effettiva del processo. Infine Agea ha evidenziato come l’abrogazione si ponga in contrasto con l’interpretazione che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha da tempo fornito in merito all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali icasticamente intitolato “Diritto a un equo processo”. Per cui, anche sotto questo profilo, avendo da tempo la predetta Corte statuito nel senso che anche la conoscenza di un processo a proprio carico debba essere effettiva, la questione dovrà essere sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, o comunque dovrà essere sollevata una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Questione pregiudiziale derivante dal fatto che l’art. 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea contiene una previsione, quella di cui all’art. 48, esattamente sovrapponibile a quella della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo. E dunque sarà il “giudice delle leggi” dell’Unione Europea, sempre che non venga sollevata la ricordata questione di legittimità costituzionale, a doversi occupare della conformità del diritto interno a quello dell’Unione. Il Tribunale, verosimilmente in ragione della complessità delle questioni sollevate, ha deciso di rinviare ogni decisione in merito all’udienza del 5 giugno prossimo. Se le questioni proposte non fossero ritenute manifestamente infondate e ammissibili, la parola passerebbe alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Processo che riprenderebbe solo una volta conosciute le relative decisioni. Di seguito, in sintesi, le argomentazioni contenute nella memoria depositata e nell’esposizione orale.
Ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 134 e s.s., 23 e s.s. L. n. 87/1953, si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 98 D. Lgs. n. 150/2022 emanato in virtù della legge delega n. 134/2021 per violazione dell’art. 76 Cost. Ciò in relazione alla mancata indicazione nella legge delega suddetta della possibilità di abrogare l’art. 429, comma 4, c.p.p.
In particolare si evidenzia come all’art. 1, comma 7, L. n. 134/2021, siano riportati i principi e criteri direttivi cui il legislatore delegato avrebbe dovuto uniformarsi. Sennonché nell’ambito dei surricordati principi e criteri non sono enucleate le facoltà di abrogare norme comunque funzionali alla conoscenza della c.d. vocatio in ius”, come invece si è verificato nel caso di specie.
Si eccepisce inoltre l’irragionevolezza della previsione di cui al ricordato art. 98 abrogativa del comma 4 dell’art. 429 c.p.p. nei confronti dell’imputato dichiarato assente nel corso dell’udienza preliminare. In effetti, da un lato si è emendato l’art. 429, comma 1, lett. f), prevedendo l’indicazione dell’udienza per la prosecuzione del processo davanti al giudice del dibattimento; d’altro canto non si è però previsto che siffatta indicazione venga portata a conoscenza dell’imputato assente, finanche se non assistito da un difensore di fiducia, come è nel caso di specie.
A ciò aggiungasi che, oltre a difettare una chiara indicazione di tal fatta in favore del legislatore delegato, sia anche la ratio stessa della scelta normativa censurata a collocarsi al di fuori del perimetro di ragionevolezza, in contrasto con le previsioni di cui agli artt. 3 e 24 Cost., oltre che rispetto alla ratio stessa della legge di delega, che anche in virtù di quanto emerge dai lavori preparatori si era prefissa di aumentare i diritti dell’imputato, primo fra tutti quello della conoscenza effettiva del processo, non certamente di retrocederli mediante l’abrogazione di una norma che garantiva la conoscenza della “vera” vocatio in ius, ossia del decreto che dispone il giudizio; che a differenza dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare rappresenta lo snodo che pone l’imputato dinanzi all’Autorità Giudiziaria che scrutinerà i fatti contestati.
E ciò è tanto più vero in relazione alla più stringente regola di giudizio che governa l’udienza preliminare di cui al novellato art. 425, comma 3, c.p.p., laddove la ragionevole previsione di condanna costituisce un innalzamento del livello di garanzie dell’imputato, mentre in precedenza l’elemento dirimente era rappresentato dall’insufficienza, contraddittorietà o non idoneità degli elementi acquisiti per sostenere l’accusa in giudizio. E se dunque si è previsto un innalzamento delle garanzie in parola, non potrà non risultare irragionevole che ove il vaglio più stringente si ritenga superato, l’imputato non abbia diritto alla notifica del decreto che dispone il giudizio.
Per non dire del fatto che, siccome l’imputato assente si considera rappresentato dal difensore, sia esso di fiducia o d’ufficio, certamente reperibile e destinatario sicuro di qualsivoglia notifica, è altresì irragionevole e contrario ai surricordati principi, che non sia stata prevista, ancorché in subordine, la notifica del decreto che dispone il giudizio al difensore.
D’altronde una lettura costituzionalmente orientata delle norme evocate, oltre che conforme al formante giurisprudenziale sovranazionale formatosi in relazione all’art. 6 della CEDU, non potrà non far ritenere che la notifica del decreto che dispone il giudizio sia adempimento necessario e che, ove il contrasto denunciato non consenta la lettura costituzionalmente orientata in parola, non potrà che essere sollevata la questione di legittimità costituzionale nel senso invocato, o comunque che sia sollevata questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea onde verificare la conformità del ricordato assetto normativo rispetto alle previsioni contenute nell’art. 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, peraltro corrispondente all’art. 6 della CEDU. Secondo il difensore “la legge delega a seguito della quale la previsione è stata abrogata non prevedesse espressamente la possibilità di eliminarla”, quindi ci si troverebbe di fronte ad un “eccesso di delega”, con conseguente violazione del dettato costituzionale che impone al governo di “attenersi ai criteri enucleati da quest’ultimo, contenuti appunto nella legge delega”.
Secondo l’avvocato Agea il contrasto con la carta costituzionale sarebbe palese in quanto “nelle previsioni della legge delega era contenuta espressamente l’indicazione nel senso di un aumento delle garanzie per l’imputato, non certo una loro retrocessione, tanto più che avendosi riguardo al decreto che dispone il giudizio, lo stesso rappresenta primaria fonte di conoscenza effettiva del processo”.
L’abrogazione della notifica del decreto che dispone il giudizio, infine, si pone in contrasto con l’interpretazione che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha da tempo fornito laddove sostiene “che anche la conoscenza di un processo a proprio carico debba essere effettiva”. Ne consegue che “la questione dovrà essere sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale – afferma l’avvocato Agea - o comunque dovrà essere sollevata una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea”.
Il collegio giudicante ha deciso di rinviare ogni decisione in merito all’udienza del 5 giugno. “Se le questioni proposte non fossero ritenute manifestamente infondate e ammissibili, la parola passerebbe alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Processo che riprenderebbe solo una volta conosciute le relative decisioni” ha concluso l’avvocato Agea.