Nel vivaio del Perugia si lavora per far crescere giocatori per la prima squadra... "anche se la strada è lunga"

10.11.2021 00:24 di Redazione Perugia24.net   vedi letture
Nel vivaio del Perugia si lavora per far crescere giocatori per la prima squadra... "anche se la strada è lunga"

Jacopo Giugliarelli, responsabile del settore giovanile del Perugia, è in assoluto uno dei più giovani, tra le squadre professionistiche italiane, a rivestire un ruolo del genere. Classe 1986, il dirigente del Grifone è un umbro doc, cresciuto come dirigente alla PGS Don Bosco e al Santa Sabina, prima di intraprendere, cinque anni fa, l’esperienza nella squadra del capoluogo, prima come responsabile dell’attività di base, quindi dell’intero settore giovanile. E, rispettando la sua età anagrafica, ha dato un’impostazione al settore giovanile perugino nuova e che mira a rinnovare e a cambiare il modo di far crescere i giovani all’ombra del Renato Curi, partendo da un innovativo studio sui giocatori nati in Umbria.
Direttore, con il Perugia avete svolto un importante studio sui calciatori umbri e che vi ha portato poi ad iniziare un lavoro di monitoraggio intenso del territorio. In cosa consisteva questo studio?
“Il percorso è iniziato cinque anni fa grazie all’iniziativa del presidente Santopadre e dell’allora direttore sportivo Roberto Goretti. Lo studio si concentrava sui giocatori umbri nel professionismo e su come fossero arrivati a quello status, per poi spostare l’analisi sui praticanti del nostro territorio, partendo dalle categorie più piccole. Lo studio ci ha rivelato che la maggior parte dei giocatori capaci di arrivare ad alti livelli iniziano a giocare per società di matrice professionistica tra i 9 e i 12 anni. Basandoci su questo principio, abbiamo ricostruito l’area scouting e l’area tecnica, lavorando per migliorare l’area dedicata all’attività di base, formando gruppi ridotti che abbiano non solo l’obiettivo di giocare, ma di arricchirsi con esperienze importanti”.
Per esempio?
“Per esempio facendogli fare molte amichevoli e test match con squadre estere e di alto livello. Ci siamo resi conto che per i nostri ragazzi non poteva più essere sufficiente giocare solo i campionati regionali, hanno bisogno, sia calcisticamente, che culturalmente, di incontrare realtà diverse e da tutto il mondo. Li facciamo allenare 4-5 volte a settimana da subito, cerchiamo di fargli fare tanta attività con la palla e di renderli capaci di affrontare le difficoltà che troveranno nel gioco, in modo che siano protagonisti sin da subito”.
Prima accennavi ad un rinnovo dell’area scouting. A cosa ti riferisci e come svolgete la vostra attività in tal senso?
“In primo luogo ci siamo creati un modello di giocatore ideale: nell’attività di base non lavoriamo sui ruoli, piuttosto cerchiamo di prendere i ragazzini con più attitudine, che abbiano la capacità di prendere le decisioni giuste in campo, che sappiano orientare il proprio corpo e sappiano trarre informazioni usando sia il fisico che la testa, che capiscano in fretta quello che hanno intorno. Dopo aver creato questo modello abbiamo formato i nostri osservatori, sapendo che lo scopo che ci poniamo non è quello di creare delle squadre ma di fare dei gruppi; i ruoli, verranno solo poi, circa dai Giovanissimi in avanti. Prima cerchiamo di non indottrinare ruoli e schemi. L’ideale è trovare ragazzi che abbiano velocità di pensiero, capacità di usare entrambi i piedi, orientarsi in campo in base ai riferimenti statici e poi a quelli dinamici. Ragazzi che sappiano smarcare, che sappiano passare, ricevere e calciare la palla. Questi sono i cardini su cui cerchiamo i giocatori”.
E avete deciso di fare questo soprattutto a livello regionale.
“Sì, per noi è la selezione più importante perché poi a livello nazionale non abbiamo una grande rete scouting, quindi preferiamo concentrarci sul territorio. Va sottolineato che Perugia è la quinta provincia per estensione in Italia e quindi c’è comunque tanto lavoro da fare anche solo muovendosi qui e nelle province limitrofe”.
In Umbria il numero di praticanti, soprattutto nell’attività di base, è molto basso: voi come Perugia cercate quindi di invertire la tendenza?
“Sì non ci sono molti praticanti e va sottolineato che, dei circa 30 professionisti nati in Umbria, la maggior parte si concentra tra le annate 1984 e 1994. L’obiettivo è che sempre più ragazzi provenienti dal vivaio del Perugia arrivino nel professionismo o perlomeno a giocare in categorie importanti. Sarebbe bello che la nostra regione arrivasse ad avere numeri importanti da questo punto di vista”.
Uno dei suoi modelli in effetti è l’Ajax.
“Quando sono stato in Olanda e ho potuto vedere con mano il lavoro svolto dall’Ajax sono rimasto impressionato dal modo che hanno di fare gruppo squadra e di crearlo, sfruttando un raggio chilometrico di circa 90 chilometri. È una società brava a scegliere e che dà valore non solo alle parti tecniche ma anche alla capacità di formare giocatori, creando un ambiente che riesca a far fluire naturalmente il modo di formare i giocatori, facendogli respirare calcio a tutti i livelli, in modo che sentano l’identità del club che lo sta formando”.
Le piacerebbe che il Perugia fosse l’Ajax del Centro Italia?
“Non voglio essere presuntuoso, diciamo che mi piacerebbe che nei prossimi anni il Perugia avesse sempre più perugini che scendono in campo al Curi davanti ai loro concittadini. Questo è l’obiettivo mio e del nostro presidente, che ha scelto di far ripartire il settore giovanile con questa idea. La strada è ancora lunga ma l’entusiasmo non ci manca”.